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Quante volte hai sentito dire che viviamo nell’epoca con più informazioni in assoluto?

Sai perché lo hai sentito molte volte?

Perché è incredibilmente vero, a tal punto che alcuni sostengono che la quantità di informazioni che oggi ci raggiungono in una giornata è la stessa che raggiungeva i nostri antenati nell’arco di un’intera vita.

Nel post che stai leggendo scoprirai una cosa molto particolare, il fatto che nessuno possa realmente diventare indistraibile.

Lo so, forse ti senti “tradito o truffato”, sei stato attratto dal titolo che ti prometteva di diventare “indistraibile” ma tranquillo, sei ancora nel posto giusto, perché la verità è ancora più sottile ed affascinante.

Cosa possiamo fare per limitare le distrazioni?

Non possiamo davvero diventare indistraibili ma possiamo imparare a gestire le distrazioni e diventare decisamente più bravi ad orientare, concentrare e mantenere le nostre risorse attentive nella direzione che desideriamo.

I lettori di questo blog conoscono molto bene l’impatto delle distrazioni sulle loro prestazioni, sappiamo bene che il multitasking non esiste, sappiamo bene il valore del deep work e conosciamo l’importanza di dedicare il massimo delle nostre energie ad una specifica attività.

Per tanto dirti di non fare più cose insieme, di allontanare le distrazioni, di usare pomodori ed altri strumenti del genere, sarebbe solo un ripetere ciò che sai già. Tuttavia una cosa che forse non hai mai preso in considerazione è la vera fonte delle distrazioni, la vera causa di ciò che limita la nostra capacità di concentrarci davvero.

Cosa ti allontana davvero dalla concentrazione

Per spiegarla facciamo un esempio: immagina di star studiando attentamente qualcosa, d’un tratto i tuoi vicini di casa decidono di fare un piccolo party. Le voci, la musica e le parole rimbombano nel condominio, ti sforzi di rimanere concentrato ma di tanto in tanto vieni catturato da un suono, da una parola che ti portano lontano dal tuo studio.

La distrazione è di certo il casino intorno a te, ma ciò che davvero ti porta lontano dal tuo punto di attenzione non sono solo i suoni fisici prodotti dai vicini, ma ciò che inizi a pensare in risposta a ciò che ascolti dei tuoi vicini. La tua reazione interna ad uno stimolo esterno!

È una particolare versione del classico consiglio: “Non soffri per ciò che accade ma per ciò che pensi, sulle tue opinioni su ciò che accade”. Non ti distrai per i suoni che ascolti ma perché ti perdi a cercare di capire, bloccare, rispondere e giudicare ciò che hai ascoltato.

Questo ovviamente non significa che se riesci a notare tutte le distrazioni interne diventi indistraibile automaticamente, ma già sapere che questi stimoli attivano dentro di te catene di associazioni mentali e che, in un’ultima analisi sono queste a portarti via la maggior parte del tempo, è già un passo avanti, e ora cercherò di dimostrartelo.

La nostra attenzione non è mai fissa al 100% o meglio, i momenti di concentrazione massima durano davvero molto poco, questione di secondi, dopodiché la tua attenzione tenderà a saltellare.

Perché fa così?

Perché se 5000 anni fa ti fossi perso nella bellezza di un fiore o di un tramonto senza distrarti, la razza umana sarebbe già scomparsa da un pezzo.

Per motivi evolutivi la nostra attenzione saltella, ed ogni volta che un elemento nuovo entra nella periferia della nostra consapevolezza, si attivano tutta una serie di associazioni e meccanismi di dirottamento delle risorse attentive.

La cosa funziona così: stai leggendo queste parole, sei abbastanza assorbito da esse e di colpo un suono esterno attira la tua attenzione. Una parte del tuo cervello si attiva per monitorare se quel suono rappresenta qualcosa di tuo interesse o meno.

L’esperimento di Malinowsky sulla concentrazione

Nel 2013 Peter Malinowsky infila elettrodi nelle teste dei suoi soggetti e gli fa svolgere diversi compiti attentivi, tra i quali la pratica della meditazione. E scopre che quando ti concentri su un oggetto, perdi la concentrazione, te ne accorgi e ritorni sul tuo punto di attenzione, stai coinvolgendo 5 circuiti separati del tuo cervello. Non li stai solo coinvolgendo ma li stai letteralmente allenando!

Questi 5 circuiti sono:

  • a) Il sistema di allerta, responsabile del primo spostamento attentivo;
  • b) Default mode network, si attiva quando ci distraiamo;
  • c) Network della salienza, ci consente di accorgerci della distrazione in corso;
  • d) Sistema esecutivo, ci consente di lasciare andare la distrazione;
  • e) Sistema di orientamento, ci consente di tornare sul “pezzo”.

La presenza di questi circuiti non ci dice solo su cosa andiamo ad agire quando ci distraiamo e decidiamo di tornare indietro con l’attenzione, ma ci mostra anche una cosa che la maggior parte delle persone non prende in considerazione: che l’attenzione è un muscolo, esso può essere agevolato da motivazione, bisogno e altro ma è una sorta di funzione a se stante.

È come parlare dei bicipiti, di certo se mangi bene, se hai una bella musica motivante di sottofondo, se hai un allenatore che ti motiva, puoi fare meglio le tue ripetizioni. Ma anche senza nessuno di questi orpelli, se riuscissi a fare le tue ripetizioni, avresti comunque dei benefici per il tuo corpo. Uscendo fuori da questa scivolosa analogia: non conta quanto sei motivato, se sei “nello stato giusto” o se ciò che osservi è “interessante di per sé”.

Come allenare la nostra concentrazione

Parliamoci chiaro, tutti siamo capaci di stare attenti quando qualcosa è di nostro interesse.

Al di là della stanchezza e di altri ostacoli fisici alla nostra attenzione, se stiamo leggendo un libro che ci interessa ci distrarremo con molta meno probabilità.

Il punto è che accadrà lo stesso, solo che quando l’oggetto è molto attraente per noi, è più facile tornare serenamente sul pezzo, mentre quando è poco attraente, tornare sul pezzo sembra molto molto più difficile.

Ed è per questo che dobbiamo allenare quel “tornare” al di là dell’attrattività dell’oggetto che stiamo osservando, del libro che stiamo leggendo ecc.

Come diceva Tich Nath Hanh, è come se ti prendesse fuoco casa ed invece di spegnere l’incendio o di scappare cercassi in ogni angolo il colpevole, prima ti salvi, salvi i tuoi cari e poi eventualmente pensiamo alle cause.

L’attenzione è un processo multifattoriale, di certo dipende da quanto siamo attratti da uno stimolo, cioè dal nostro grado di interesse personale (la motivazione). Di certo è determinata dalla salienza di un determinato stimolo (quando è in risalto rispetto agli altri) e da quanto è stato progettato per attirare l’attenzione (in movimento, i colori ecc.). Ma tutto questo non basta, perché il “muscolo dell’attenzione”, l’interazione tra quei circuiti non dipende solo da questi fattori ma dalla capacità di accorgersi e ritornare.

Questa abilità viene anche definita come “meta-cognizione”, cioè la capacità di osservare i nostri pensieri per ciò che sono: pensieri, cioè previsioni sul mondo e non “il mondo in sé”. Ed è del tutto assimilabile ad un vero e proprio muscolo, proprio come quando vai in palestra e cerchi di isolare un certo specifico gruppo muscolare, quando ci accorgiamo della distrazione e torniamo intenzionalmente sul nostro punto di attenzione, stiamo isolando i circuiti responsabili della attenzione.

Come capire se la nostra concentrazione non sta funzionando?

Ora qui scatta un piccolo problema, mentre possiamo percepire il nostro bicipite che si tende con l’esercizio, non possiamo fare altrettanto con l’attenzione. Cioè, nel momento in cui sei concentrato, sei nel pezzo, sei nel “flow”, di solito non sai di esserci, ci sei e basta!

Dunque, come facciamo ad addestrare qualcosa che non riconosciamo?

In realtà c’è un momento nel quale vediamo pienamente il nostro meccanismo attentivo, ed è quando esso non funziona! Quando cerchiamo di restare concentrati e la nostra attenzione vola altrove.

In quel momento, hai la possibilità di renderti conto che quella distrazione è il momento in cui ti rendi conto di aver perso il filo e decidi di tornare sul pezzo.

Questo meccanismo, come abbiamo visto, è il vero muscolo dell’attenzione: l’unico vero momento dove puoi osservare la tua attenzione è quando questa è andata altrove.

La prima cosa che dobbiamo addestrare è la capacità di accorgerci di NON essere più sul pezzo, rinforzando in modo positivo questo comportamento. Come si rinforza un comportamento?

Torniamo alla nostra lettura, immaginiamo di esserci persi mentre leggevamo, ci accorgiamo di aver perso il filo. A questo punto, come ci trattiamo? Pensaci, come ti tratti quando ti accorgi di aver perso il filo? Se sei come la maggior parte delle persone quando ti accorgi di questo fenomeno lo vivi come un fallimento, come il fatto che la tua attenzione non è capace di restare dove tu desideri che stia. Ma come abbiamo visto essa è progettata per saltellare, non c’è niente di male nel fatto che lo faccia, certo in base a determinate condizioni potrebbe farlo un po’ di più del solito o un po’ di meno, ma saltellerà sempre!

Dunque la mia capacità di restare concentrato non dipende da quanto tempo ci resto, ma da quanto velocemente ed efficacemente mi accorgo di essermi perso e ritorno indietro. Nota che non ho usato solo l’avverbio “velocemente” ma anche “efficacemente” (una citazione casuale), dove tale termine indica il fatto di farlo “nel modo migliore possibile”.

Ebbene, tornando all’esempio della lettura: se ogni volta che ti scopri distratto inizi a trattarti male, a vedere quella distrazione come il segno del fatto che non sei concentrato e non come un movimento naturale, aumenti o diminuisci la probabilità di tornare sul pezzo?

Non essere duro con te stesso se ti distrai!

Usando un’altra metafora: se cadi dalla bici e inizi a trattarti male, a dire a te stesso che sei solo un incapace, aumenti o diminuisci la probabilità di tornare in sella?

La verità è che diminuisci la probabilità sia di tornare in sella ma soprattutto di tollerare la frustrazione di quella piccola defaillance.

È un meccanismo molto semplice che gli psicologi chiamano: condizionamento operante. Tradotto: gestendo premi e punizioni aumentano o inibiscono specifici comportamenti. Nell’attenzione il rinforzo è dato da come ti tratti quando ti perdi, cioè da come interpreti il fatto di esserti perso.

Ecco ciò che sto cercando di fare è convincerti che dovresti trattarti bene perché accorgerti di esserti distratto è il primo passo per diventare indistraibile.

Come abbiamo visto è praticamente impossibile che la nostra attenzione non si perda, arrabbiarsi per tale motivo e trattarsi duramente è un po’ come: guardare fuori dalla finestra, vedere che sta piovendo, uscire di casa senza ombrello per poi lamentarsi del fatto che la pioggia ci sta bagnando. Bisogna riconoscere che sta piovendo e gestire la situazione, magari prendendo l’ombrello.

Nel nostro caso l’ombrello si chiama “gentilezza” o “self-kindness”, funziona perché quando ci trattiamo duramente attiviamo i circuiti di “attacco-fuga” che, in momenti di pericolo sono utili ma non sempre. Quando invece ci trattiamo con gentilezza attiviamo un circuito quasi opposto al precedente, i neuroscienziati lo hanno chiamato “tend-and-be-friend”, ed ha un solo difetto: si attiva (quasi) sempre dopo l’attacco-fuga. Quindi, prima ti allerti perché noti di esserti perso e poi, una volta riconosciuto questo passaggio, ti tratti gentilmente e torni indietro.

Trattando la distrazione non come un fallimento ma come l’obiettivo dell’addestramento attentivo! Ogni volta che ti rendi conto di esserti distratto e torni indietro gentilmente stai diventando più “forte”, più bravo a gestire le tue risorse cognitive. Questo processo è un modo eccezionale per “isolare il muscolo attentivo” e consentirci di diventare sempre più bravi nel farlo.

Tutto questo ovviamente non manda in pensione la motivazione e le varie strategie per aumentare la nostra concentrazione e produttività, ma anzi le esalta dando loro ancora più forza. Ci spiega perché nonostante la motivazione e le strategie la nostra attenzione continui ad apparirci come discontinua e, contemporaneamente, ci mostra anche come dovremmo trattarci per fare in modo di ritornare nel modo più efficiente possibile a ciò che stavamo facendo.

Conclusione

Se, in queste parole hai sentito “odore di incenso e meditazione” è perché il processo è esattamente lo stesso.

Per quanto la pratica meditativa venga promossa per il benessere pochi ti raccontano che la maggior parte dei suoi benefici sono legati proprio al rinforzo di questi meccanismi mentali. Che puoi ovviamente allenare senza dover meditare, ma la pratica di contemplazione risulta essere uno degli esercizi più potenti e semplici per farlo.

Riassumendo: è impossibile non distrarsi, il problema principale della distrazione è non sapere di essere distratti. Il primo passo è riconoscerlo e notarlo quando accade, in quel preciso istante avviene la magia (la meta cognizione) che ti consente di decidere come trattarti e cosa fare.

Per riuscirci dovrai attivare tutti quei 5 circuiti di cui abbiamo parlato, non è difficile, lo hai fatto sino ad ora! Devi solo concederti le distrazioni, riconoscerle e tornare sul pezzo, ancora ancora e ancora, ed essere felice quando ci riesci. Solo in questo modo potrai rinforzare positivamente questo circolo virtuoso di: distrazione, mi accorgo della distrazione e torno gentilmente a ciò che stavo facendo.

Tutto qui ;-)

Avatar di Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli psicologo e psicoterapeuta è autore di “Psinel” il podcast di psicologia e crescita personale più ascoltato in Italia. Si occupa di divulgazione online dal 2007. Aiuta le persone a intraprendere un percorso di sviluppo personal

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