“Ma a che ca**o mi servirà?!”
Sono passati ormai quasi 21 anni, ma ricordo ancora la sessione estiva del 2003.
Quel luglio è stato uno dei più caldi del secolo ed io ero ancora nella notoriamente “fresca” Bologna 😅 per concludere gli ultimi esami del secondo anno di Ingegneria.
Ne dovevo preparare uno particolarmente tosto di Matematica Applicata.
Tra lo studio di una disuguaglianza di Chebyshev e una deviazione standard campionaria, in una cameretta di 15 metri quadrati trasformata in tripla per studenti universitari, che rimaneva fissa a 31° di temperatura media, ricordo di essermi fatto più volte questa domanda:
“Ma a che ca**o mi servirà?!”
Beh, io la disuguaglianza di Chebyshev non l’ho mai più utilizzata in vita mia, ma oggi so perfettamente a cosa è servito quel percorso.
Una parte importante dell’immagine che abbiamo di noi stessi si basa sull’archivio mentale degli ostacoli che siamo stati in grado di superare nel corso della nostra vita.
Più cose difficili scegliamo volontariamente di affrontare, più ci sentiamo capaci e competenti.
Se riusciamo a completare una maratona, rimanere focalizzati su attività lavorative o di studio per lunghi periodi di tempo, ci sembrerà una passeggiata.
Se abbiamo perso innumerevoli notti di sonno quando i nostri figli erano piccolini, sappiamo che si sopravvive e si riesce a fare ciò che è necessario anche dopo una notte in bianco.
Al contrario, se nella nostra vita evitiamo anche le più piccole difficoltà e scomodità, ogni contrattempo ci apparirà un’immane tragedia di cui doverci lamentare con sdegno a mezzo social.
Sì, certo, lì per lì, schivare quell’ostacolo ci farà sentire momentaneamente sollevati; ma senza accorgercene, la “sindrome del c*lo divanato” infetterà ogni nostra cellula e neurone, convincendoci giorno dopo giorno che in fondo non siamo capaci di affrontare la nostra vita.
Per questo, dimostrare a noi stessi di poter portare a termine cose difficili (di tanto in tanto) è il più grande regalo che possiamo farci.
Nella nostra mente esiste un “recinto“.
Se quel “recinto” non lo mettiamo mai in discussione, scavalcandolo per vedere fin dove siamo in grado di spingerci, esso continuerò a restringersi, finendo per l’asfissiarci in una vita che non sentiremo più nostra.
C’è chi sostiene che la società moderna ci abbia resi deboli. Ma non è del tutto corretto. La nostra società e le sue comodità ci hanno semplicemente dato l’opzione di essere deboli.
Scegliere volontariamente di affrontare progetti, obiettivi, abitudini e attività difficili (qualsiasi sia la nostra attuale definizione di “difficile”) è l’antidoto.
Andrea Giuliodori.